Il primo ministro turco attacca Facebook, ma il popolo internet si ribella

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Nonostante il primo ministro turco abbia una pagina Facebook che conta più di 790,000 fan, Recep Tayyip Erdogan, nel corso di un comizio elettorale a favore del suo partito non manca di lanciare qualche stoccata al famoso social network di Mark Zuckerberg.

“Le pagine su Facebook sono brutte e orribili”, avrebbe dichiarato nel corso dell’intervento, aggiungendo che i contenuti che solitamente spopolano sul social network sono “immorali”. Una dichiarazione che conferma i “rapporti difficili” tra Facebook e le cariche governative della Turchia, proprio quando il paese medio-orientale si avvicina delicatamente alle prossime elezioni.

Del resto, la popolarità di Facebook presso la popolazione turca continua a crescere ogni giorno, posizionando la Turchia tra  i primi paesi al mondo per accessi al social network. Le elezioni spingeranno ulteriormente la diffusione dei social media, e non molti sarebbero favorevoli a Erdogan. Per questo, qualcuno teme possa ripetersi la situazione dello scorso ottobre, quando la Turchia valutò l’idea di bloccare temporaneamente l’accesso al sito.

Non è un caso allora che il popolo internet abbia deciso di mobilitarsi. Domenica a Istanbul, ma anche in altre città europee, si sono tenute manifestazioni contro un provvedimento indetto dal governo turco che mira all’abilitazione di un nuovo filtraggio internet dal prossimo agosto, che ha già bloccato migliaia di siti (tra i 5.000 e i 37.000, secondo le stime). La regolamentazione mira infatti a costringere gli utenti web a scegliere fra quattro differenti tipi di filtraggio con l’obiettivo, ufficialmente, di impedire che i minori possano finire su siti pornografici e non adatti comunque ad un consumatore non maggiorenne.

Se le autorità Turche parlano di un sistema alternativo che vige già in altri paesi del mondo, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Austria, la stampa avversaria a Erdogan ha dichiarato la regolamentazione come la “morte di internet in Turchia”, paragonandola alla censura che viene applicata in Cina, Corea del Nord e Iran.

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