Un nuovo business: vendere i compiti su Facebook

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L’istituto Tito Livio di Padova, è stato messo sotto assedio dopo un’inchiesta che ha visto sei giovani studenti del liceo, immischiati in un losco affare fatto tramite Facebook. Si tratta di commercio di traduzioni di latino e greco, che venivano commissionate via Facebook per essere poi passate o via mail oppure nei bagni della scuola in cambio di soldi. Il tariffario era fisso, a dimostrazione che il tutto era diventato un vero e proprio business. I 5 euro equivalevano ad una sufficienza sicura, con tre euro in più si poteva sperare un buono, mentre con 15 euro si vendeva l’ottimo.

Il mercato delle traduzioni e dei compiti di matematica, partito in sordina, con la complicità della voglia di arricchirsi degli ideatori, su Facebook era diventato pian piano di proporzioni gigantesche, ma questa vetrina pubblica cosù grande ha fatto si che tutti i giovani coinvolti (6 i venditori) abbiano dovuto rimetterci soldi, “lavoro” e posto a scuola. Gli insegnanti stessi, infatti, venuti a conoscenza di queste transazioni illecite dei giovani dell’istituto superiore che solitamente erano a senso unico dai più giovani alle nuove “matricole“, dopo 2 mesi di controlli, hanno fatto si che il tutto venisse smascherato.

Oltre all’atto in se di truffa, su quella che era la pagina dell’iniziativa su Facebook, c’era scritto anche che la traduzione era personale e l’eventulae cessione avrebbe fatto si che le cose non andassero proprio come si doveva.
Facebook quindi complice prima della truffa, ma poi mezzo risolutivo della questione. Ma qualcosa che fa tremare le cattedre è apparso in questi giorni sul sito “ScuolaZoo“: “Chi non ha mai copiato? I giornali di tutto il Veneto urlano allo scandalo ma lo scandalo sono semmai i professori delle superiori che si fanno pagare 30/35 euro in nero per risolverti un compito”.

Meno male che il gioco è stato smascherato, questo perchè altrimenti l’idea di “business” avrebbe potuto propagarsi e creare ancora maggiori disagi alle nuove generazioni per la carenza di cultura acquisita durante i percorsi di studio.

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